Errare humanum est. Nonostante la significatività di tale locuzione latina rifacente a un’espressione di Sant'Agostino, nell'analisi dell'errore tanto umano quanto tecnico-scientifico, ad opera delle scienze forensi e denunciati da un ampio corpus di testi letterari e pubblicazioni scientifiche, è possibile evidenziare modalità tipiche con cui si può errare in ambito giuridico.
L'errore può avere, infatti, diversa origine. Esso può radicarsi e invalidare anche la prova scientifica, nonostante l'indispensabilità della stessa in sede processuale e probatoria. Diversi sono i casi in cui si parla di fallibilità del test del DNA o svariate sono le situazioni in cui la ricostruzione della dinamica del delitto diventa problematica a seguito di una sommaria “ispezione dei luoghi e dei fatti”, ovvero di un'indagine di sopralluogo incompleta. Omettere o tralasciare evidenze, anche latenti, può inficiare la valutazione e persino il giudizio finale del P.M..
Invalidare le indagini non è impossibile. Aldilà dei tipici errori tecnico- scientifici, legati alla prassi degli esperti, alla loro competenza e agli strumenti utilizzati, non sono da tralasciare aspetti legati alla natura dell’uomo in quanto tale: le indagini sono condotte da professionisti, scrupolosi, preparati, ma pur sempre esseri umani. L’errore può nascere allora per incuranza, dimenticanza, distrazione o semplicemente per coerenza con quella locuzione latina con cui siamo partiti: ”Errare humanum est”.
Ed è proprio ripartendo nuovamente dalla consapevolezza che “errare è umano”, che possiamo ampliare lo spettro delle possibili cause dell’errore giudiziario, identificando ad esempio nelle fallace logiche caratterizzanti il ragionamento, il terreno fertile per erronei giudizi e invalidate indagini. Spesso i protagonisti della giustizia (investigatori, pubblici ministeri, giudici, avvocati, periti) selezionano, filtrano, vagliano prove attraverso la cosiddetta “visione a tunnel”. Interpretare gli eventi sulla base di credenze e aspettative, o farsi guidare da un investimento emotivo e cognitivo personale nella valutazione delle ipotesi, diviene la tendenza da cui originano i cosiddetti bias cognitivi. Essi conducono anche il più accurato esperto forense a percepire e sopravvalutare tutte quelle informazioni che avvalorano l’ipotesi in cui si crede, disconfermando quelle che non convalidano le attese di partenza.
La tendenza al verificazionismo ne è un esempio e può dare origine ad errori inferenziali tipici, argomentati ampiamente dalla psicologia investigativa. Tra i diversi errori possibili, molti di essi possono essere interpretati come la manifestazione del cosiddetto “confirmation bias”, definibile preconcetto confermativo caratterizzante il pensiero umano. Questo spiegherebbe la tendenza a ricercare e interpretare le prove di un evento sulla base di ipotesi preesistenti, di aspettative e di credenze, come precedentemente già sostenuto.
Vi sono poi diversi elementi che possono incidere su questa tendenza: status sociale e investimento emotivo sono esempi che rendono conto di come, in alcune circostanze, si possa veicolare e accentuare il preconcetto. Di fronte agli eventi si tenderà allora a restringere l’attenzione a una singola ipotesi, tralasciando tesi alternative.
Le fallace indotte dal sistema cognitivo sono davvero consistenti e svariate. La psicologia investigativa e le scienze che si occupano della cognizione umana e del ragionamento sottolineano peculiari tendenze nel giudizio sugli eventi. Ad esempio, in riferimento al tema delle aspettative, sembrerebbe che queste ultime abbiano un ruolo fondamentale nella valutazione della correlazione tra eventi ed è, infatti, tendenza dell’individuo percepirne connessione laddove non esiste. Tale fenomeno viene denominato correlazione illusoria e da essa dipenderebbero diversi stereotipi: un esempio è il ritenere erroneamente che alcuni comportamenti siano tipici di un gruppo piuttosto che un altro e guardare così il mondo e gli eventi in base a tassonomie preesistenti: il cosiddetto fenomeno della reificazione. La memoria ci riporta esempi concreti di cronaca nera che dimostrano quanto assunto. Casi giuridici e mediatici di una certa risonanza mondiale, vicende largamente discusse che rivelano come personalità del calibro di O.J.Simpson, il campione O.J., colui che per anni aveva goduto di stima e fama incontestabile, divenga l’esempio di come una tragedia cambi la vita, stravolga un’identità apparentemente solida e riconosciuta, conduca ad una colpevolezza intrisa di dubbi acuiti non solo dagli errori investigativi evidenziati, ma anche dall’impatto persuasivo dei media: la verità mediatica proposta farà da sfondo a quella processuale e a quella reale e, di conseguenza, manterrà nel tempo quell’alone così sottile, ma presente, di dubbio; tale dubbio in fondo caratterizza la natura umana e il suo pensiero, anche di fronte ad una conclamata condanna. E non solo, si parla di un processo che, nel tempo, assumerà un risvolto pesantemente politico. Visioni contrastanti che scindono l’opinione pubblica in due ripartizioni: colpevolisti e innocentisti e, più velatamente, colpevolisti bianchi e innocentisti neri. Il tutto fa perdere l’importanza di un reale accertamento dei fatti e il processo diverrà quasi la memoria di eventi politici e storici che hanno contraddistinto lotte e schieramenti passati. Si parla di storia, ma anche di anni non troppo lontani, ovvero del 1992, data in cui non si possono dimenticare i “riots”, i disordini che proprio in quel 1992 scoppiarono nel ghetto nero di South Central dopo l’assoluzione dei quattro poliziotti che sotto l’occhio di una telecamera aggredivano selvaggiamente Rodney King, l’uomo di colore che avevano appena fermato. Cinquantotto morti, centinaia di feriti e un miliardo di dollari di danni.
Il caso di Oriental Simpson ha animato perciò lunghi dibattiti, seguitesi nel tempo. Tutto inizia nel Giugno 1994, in California; la tv riporta un evento memorabile: cento milioni circa di telespettatori sono davanti allo schermo di un televisore per assistere in diretta all’inseguimento del campione di football Orenthal James Simpson, detto O.J., sulla Freedway 405 che attraversa il Sud della California. Parliamo di un caso di rilevanza mediatica inconfutabile, in quanto il protagonista è uno dei più grandi giocatori della storia del football americano, ma non è solo questo. Negli anni O.J. Simpson si era dimostrato anche un valido attore. La sua vita in quel caldo giugno del 1994 viene stravolta da un evento di cronaca dalla risonanza mediatica senza precedenti. Il campione improvvisamente si ritrova accusato del duplice omicidio in cui perdono inspiegabilmente la vita la sua ex moglie, Nicole Brown, e un suo amico, Ronald Goldman. I motivi per i quali improvvisamente la tv riporta in diretta la fuga forse più eclatante degli ultimi decenni, tanto da rimanere impressa nelle menti come una sorta di “flashbulb memories”, risiedono nell’aver intaccato l’immagine di un personaggio fino ad allora indiscutibilmente amato dal pubblico, profilandone la possibilità che, dietro quell’acclamata personalità così tanto carismatica, si nascondesse l’autore di quel feroce delitto. Nel caso di O.J. Simpson gli errori evidenziati si sono tramutati in un alone di incertezza che ha resistito alla storia e al tempo, errori tecnico-scientifici in sede di sopralluogo, ma anche valutazioni, inferenze e ipotesi carenti e discordanti. Il profilo psicologico proposto dall’accusa, che vedrebbe nel modus operandi dell’assassino un agito aggressivo e d’impeto, entrerebbe ad esempio in contraddizione con un videotape presentato nelle aule di giustizia in cui si riprende O.J. al saggio di sua figlia, visibilmente sereno e tranquillo. Ci si è chiesto come avesse potuto sviluppare un’azione d’impeto a distanza di qualche ora, successivamente a quello stesso evento (saggio della figlia) in cui presenziava con gioia.
Il caso Simpson è solo uno dei tanti esempi.
Secondo gli assunti di Kahaneman e Tvesky l’individuo mostra un’altra tipica tendenza caratterizzante, denominata illusione di validità. Tale tendenza è tipica delle categorie professionali quali avvocati, psicologi e tutti coloro che, in virtù del proprio ruolo, si adoperano nella formulazione di previsioni di cui non possiamo avere immediato feedback. Una volta rafforzata l’ipotesi e formatesi una certa credenza, quest’ultima tenderà a persistere anche nel caso in cui sia contraddetta da eventi successivi. Tale fenomeno è detto Primacy effect.
Gli errori inferenziali possono originare, inoltre, da una predisposizione a credere che ciò che si desidera rappresenti il vero, piuttosto che credere in qualcosa che risulti essere falso. Tale manifestazione è definita Principio di Pollyanna e spiegherebbe così la via preferenziale verso pensieri e ricordi piacevoli, piuttosto che il contrario.
Nell’investigazione scientifica la scena del reato è frutto di un sistema rappresentato dalla vittima, dal reo, dalle loro caratteristiche e dalla relazione che intercorre nel processo di aggressione- vittimizzazione.
Interpretare una scena del reato così come ragionare scientificamente nell’ambito dell’investigazione comporta l’uso di catene inferenziali e di euristiche, intese come congetture psicologiche che possono essere fuorvianti, come evidenziato precedentemente.
Siamo così soliti paragonare il nostro sistema cognitivo ad un meccanismo che sfiora la perfezione, quindi per tal ragione infallibile. Tuttavia evidenze scientifiche mostrano come si possa parlare di “limitatezza” dei processi mentali, come nei processi mnemonici (soprattutto se si parla di memoria a breve termine) e come a causa di tale “limitatezza” si ricorra a metodi semplificatori, “scorciatoie” di pensiero definite appunto euristiche, finendo per utilizzare in modo poco corretto i modelli di ragionamento (induttivo, deduttivo e abduttivo).
L’euristiche evidenziate dalla letteratura vigenti sono molteplici, ma alcune sono davvero tipiche, da meritarne evidenziazione:
L’euristica della disponibilità:si verifica quando gli eventi sono facilmente rievocabili in memoria e, di conseguenza, sovrastimati rispetto a quelli più rari o difficilmente ricordabili. Sovrastimare gli eventi porta poi a pensare che possano accadere con probabilità maggiori anche se non sono rappresentativi della reale distribuzione del fenomeno.
L’euristica della rappresentatività: definibile un’erronea interpretazione della probabilità di un fatto basandosi su dati particolarmente pregnanti ma non rappresentativi, in relazione alla sua significatività o verosimiglianza rispetto ad un’ipotesi.
Euristica dell’ancoraggio e accomodamento: è un metodo di ragionare in modo semplificato per formulare giudizi sui fatti della vita quotidiana. Nella fattispecie, in situazioni di incertezza, formuliamo un giudizio in base alle esperienze pregresse, riducendo l’incertezza prendendo come riferimento informazioni per noi sicure.
Euristica della simulazione: consiste nel trarre inferenze dalla costruzione di ipotetici scenari che una persona può prevedere. Maggiori sono gli scenari che si possono immaginare, maggiore è la probabilità che, secondo questa modalità di ragionamento, avvengano.
Sulla base di quanto sostenuto, si evidenzia la necessità per cui la prova processuale debba essere allora confutabile e fondata sui fatti, facendo prevalere la formula ogni oltre ragionevole dubbio. Questo garantirebbe giudizi obiettivi e una notevole riduzione delle possibilità di errore.
Oggi sappiamo che è difficile non incorrere in errori e fallacie di ragionamento, poichè errare è parte integrante della natura umana. Questa consapevolezza non può costituirsi, ovviamente, come scusante per reiterare uno sbaglio, ma dovrebbe essere una ricchezza cognitiva: fare proprie le conoscenze riguardo alle fallacie in cui ci si può imbattere nei ragionamenti logici, non esula dal commettere errore, ma rappresenterebbe un valido strumento di arricchimento professionale, che, unitamente ad un dialogo interattivo tra i diversi saperi (psicologico, giuridico, criminologico) e salvaguardando la cultura del dubbio, garantirebbe una giustizia “giusta”.
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